Antefatto
Erano da poco passate le 18:00 quando notai che mio padre peggiorava sempre di più. Respirava a stento e con affanno. Da quindici giorni aveva contratto il virus del COVID-19 e le sue condizioni fisiche erano visibilmente peggiorate. In preda alla disperazione e contro la sua volontà decisi di chiamare il 118.
– Salve, chiedo un intervento d’urgenza. Mio padre fa molta fatica a respirare!
– Ok, ci dia l’indirizzo, per favore!
– Via Trieste 15 a Thiene.
– Tra 5 minuti arriviamo!
– Sì, vi prego perché è molto grave!
Non appena l’ambulanza entrò nel cortile, un medico e due infermieri scesero dal veicolo e di corsa entrarono in casa per soccorrere mio padre e lo sistemarono accuratamente sulla barella. Lui con lo sguardo attonito mi cercava. Era come mi volesse dire “non farmi portare via, voglio stare qua!”. Avevo il cuore in gola ma ero comunque convinto che non c’era rimasta altra soluzione. Verso le 23:00 la dottoressa dell’ospedale mi informò che mio padre non voleva assolutamente farsi intubare. Si era rivolta a noi nella speranza che potessimo convincerlo.

Alessandro Mores, agente di commercio veneziano di 48 anni che risiedeva a Thiene in provincia di Vicenza, era un no-vax convintissimo che non voleva sentire ragioni sulle vaccinazioni e sull’esistenza del Covid. Dieci giorni prima di Natale aveva contratto il virus, ma lui si era sempre sottratto alle medicine che gli erano state prescritte ed ovviamente non era vaccinato. Riteneva che il Covid non esistesse e che si trattasse di una semplice influenza.
Qualche giorno dopo Natale le sue condizioni si erano aggravate, così il figlio maggiore Niccolò, 21 anni (il maggiore dei tre figli), vedendo che il suo respiro diventava sempre più affannato con la saturazione bassissima decise, contro la volontà del padre, di chiamare il 118.
“Mio padre fa fatica a respirare e si sta lasciando andare”, queste sono state le frasi del figlio al personale sanitario. L’ambulanza arriva molto rapidamente ed Alessandro viene portato urgentemente all’ospedale San Bortolo di Vicenza. Appena arrivato al Pronto Soccorso Covid, le sue condizioni si rivelano subito gravissime, ma il paziente è comunque ancora lucidissimo. “Voglio firmare per non essere intubato”, ha subito affermato il Mores rivolgendosi alla dottoressa dell’ospedale. “Tanto guarisco lo stesso”, ha ripetuto. La dottoressa lo avverte che presto il suo cuore avrebbe smesso di battere, e in quel caso la tracheotomia sarebbe stata indispensabile (l’ultima spiaggia per tentare di salvare un paziente in fin di vita). Lui rimane sempre più fermo nelle proprie certezze. “Ci sentiamo dopo”, continuava a ripetere, come per distogliere l’attenzione da sé. Nel più totale sconforto, Niccolò con accanto gli altri due fratelli, in video-chiamata, lo implorava piangendo: “Papà ascoltami, fatti intubare, ti prego! “. A quel punto la dottoressa chiede il permesso di poter provare a rianimarlo almeno nel momento in cui il cuore si fosse fermato. L’uomo annuisce, ma ormai è già troppo tardi. Alessandro Mores è deceduto solo poche ore dopo il ricovero, ma a nulla sono valsi gli ultimi tentativi per riportarlo in vita.
Non ha ascoltato nessuno, neppure il suo cuore!
Nonostante l’assurdità dei fatti il figlio maggiore Niccolò lo difende con convinzione: “No, non è mai stato un no-vax. La prova è che noi figli siamo tutti vaccinati. Mio padre era un agente di commercio, vendeva alimenti a bar, ristoranti, hotel. Lui ha patito pesantemente il periodo della pandemia. Prima gli hanno impedito di lavorare, poi hanno chiuso i locali, poi l’hanno risarcito tardi e male. Aveva perso la fiducia nelle istituzioni, si era convinto che stessero tutelando qualche interesse occulto” ha affermato al quotidiano Repubblica. Niccolò lo difende, sempre e comunque, sottolineando come il padre non fosse né un ignorante né un egoista. ” È stato a lui ad insegnarci il valore del sacrificio sul lavoro, del rispetto per il prossimo, soprattutto per i più deboli. Ce l’hanno invidiato in tanti nostro papà”.

Capisco che di fronte ad una tragedia del genere ci possa essere da parte del figlio il desiderio di poter difendere il padre. Ciò che non capisco però è come si possa arrivare a tale scelta basandosi su convinzioni infondate. Neanche l’amore verso i propri figli ha distolto il signor Mores dal suo insano pensiero. Così come faccio fatica a credere che si possa mettere davanti all’amore verso le proprie creature le proprie convinzioni ideologiche. Penso però che, inconsciamente, abbia voluto azzardare fino all’ultimo nella speranza o fallace convinzione di poter uscirne fuori. Mi chiedo allora: come possono avere più valore l’ideologia, la caparbietà, l’ostinazione rispetto al disperato appello di un figlio proteso nello sforzo di dare un’ultima chance di vita al padre morente e fermo su posizioni molto discutibili? Questo padre di tre figli di 21, 16 e 10 anni non ha forse pensato che i propri figli avrebbero avuto ancora bisogno di lui, della figura e dell’amore di un padre? Vale davvero di più la paura di farsi un vaccino dell’amore verso i propri figli?
Io rispetto tutti, ma quando il rispetto della vita viene superato da ideologie assurde, mi si chiude la vena…