Da couture a sculpture: Luca Giannola

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(Antefatto)

Come tutti i giorni al rientro dalla scuola mi fermavo a salutare le zie nell’Atelier di famiglia.

Per me entrare in quel laboratorio era un momento magico! Cappelli di ogni foggia e di ogni materiale: di feltro, di lana, cashmere, paglia, tessuto, pelle. Un tripudio di cappelli di ogni dimensione e colore, cerchietti con velette, fiori e rametti in tessuto e organza, passamanerie, specchi, veli e pizzi. Un carosello di colori e tessuti in questo ambiente dove l’eleganza la faceva da padrone. Ero come un bambino in un negozio di giocattoli.

In questo laboratorio trasformato in una modisteria lavorava anche mia madre. Era il più rinomato a Benevento.

Mia zia Nina, una donnina tutta minutina, con le sue mani affusolate e le sue dita lunghe e sottili, stava accuratamente rifinendo un bellissimo cappello rosso scarlatto in feltro con una velina in organza appena accennata.

  • Vieni Luca – mi chiamò, – ti ho sentito arrivare! Fatti dare una carezza!

Mi disse mentre mi afferrava il capo per baciarmi sulla fronte.

Nina, la zia di mia madre, era cieca, ma questa disabilità non le impediva affatto di svolgere un’attività che richiede così tanto perfezionismo.

  • Zia, ma è elegantissimo questo cappello! – le dissi soddisfatto.
  • È una commissione della Contessa Luciani che ci ha ordinato la scorsa settimana. È per un evento molto importante! – Era mia madre, rivolgendosi a me. Stava confezionando 20 cappelli in partenza per un grande cliente di Firenze.

Sul lato opposto del tavolo c’era zia Odilia che gesticolava con le mani per farmi capire che anche lei doveva avere diritto al cerimoniale del saluto. Anche se non aveva sentito il nostro discorso, perché sordo-muta, i suoi occhi brillavano di gioia nel vedermi.

Dopo avermi abbracciato mi chiese, a suo modo, se a scuola era andato tutto bene.

Mia madre e le zie erano per me un riferimento importante, l’espressione dell’eleganza, della raffinatezza e della creatività in tutto il suo splendore.

Schermata 2020-06-14 alle 21.30.50A soli 13 anni Luca Giannola aveva già le idee chiare su cosa avrebbe voluto fare da grande. All’età di 10 anni frequentava con la mamma il laboratorio delle zie, note imprenditrici modiste che già dagli anni 30 avevano intrapreso l’attività di designer e stiliste per cappelli per signora. Lavoravano a stretto contatto con la borghesia dell’epoca.

A Benevento però, a quei tempi, non esistevano scuole di moda, così Luca decise di iscriversi al Liceo Artistico per poter avvicinarsi meglio al disegno e alla scultura. Furono 4 anni di sacrifici consacrati a un’unica devozione, lo studio e il disegno. Dopo la maturità, nonostante i dubbi di amici e familiari, partì alla volta di Milano, il cuore della moda.

1Si iscrisse così in una scuola di moda austriaca. Oggi non esiste più. Qui iniziò il suo percorso nel Fashion Design. Muovendosi negli ambienti della moda si propose come assistente stylist nelle redazioni per servizi fotografici, magazine, pubblicità video. In quei 5 anni a Milano, alternò lo studio a lavoretti saltuari per potersi mantenere. Stanco di questa situazione molto stressante e decisamente poco remunerativa, decise di trasferirsi a Bologna, mantenendo comunque un impiego come professore di Fashion Design in una scuola milanese.

A Bologna l’aveva condotto l’idea di lasciare il percorso da stilista con l’intento, dopo lo stress milanese, di ritrovare un po’ sé stesso. Si propone così come professore in una scuola bolognese dove impara davvero tanto sull’organizzazione di eventi. Il risultato fu che Luca, per ben 13 anni, ha coordinato a Milano, Verona e Bologna tre centri di creazione di moda, disegnando allo stesso tempo per diversi stilisti.

A Bologna collabora con un personaggio forte, eclettico, cantante e cantautore e al tempo stesso molto conosciuto come couturier per abiti da sposa. Grazie a lui e alla grande manualità di Luca nascono le prime opere di “moulage” ovvero a dire l’abito viene creato e modellato direttamente sul corpo della modella: nacque così l’abito scolpito. “Si è risvegliato quello studente scultore, quello che era rimasto schiacciato dalla frenesia milanese” spiega lo stilista.

Nacque così la sua prima linea di abbigliamento che, presentata in occasione di varie sfilate, venne molto ammirata.

7 Marino Mergola

Dopo la morte dell’artista bolognese continuò comunque la collaborazione con la signora che lavorava nell’atelier e che ora detiene un negozio in centro a Bologna. Questo gli permise di vendere le sue prime creazioni, veri pezzi unici. Abiti scolpiti su manichini precedentemente preparati con imbottiture per ricreare le misure delle clienti.

Da qui si aprirono nuovi orizzonti di mercato in Asia, Francia e nella stessa Milano. Iniziò a darsi delle regole precise. Non era più il designer che doveva seguire un prototipo ben prestabilito, non doveva più creare il capo di Alta Moda a prezzi esorbitanti, ma un “prêt à couture”, abiti eleganti ma a prezzi più accessibili che potessero coccolare una donna sempre più raffinata e unica. Un ritorno alla vecchia sartoria sulla base dei modelli stilistici alla Dior o delle icone del cinema americano come Grace Kelly, Audrey e Katharine Hepburn.

E come avviene la ricerca dei tessuti? Gli chiedo.

  • Sono molto esigente nella ricerca dei tessuti. Cerco sempre dei materiali insoliti come il cocco e altri materiali ecosostenibili dai colori bellissimi. Questi tessuti che possono essere scultorei e aerei ma al tempo stesso sostenuti e leggeri permettendo più volume ed effetti di “vuoto-pieno”. Il mio mito è Issey Miyake e per questo lavoro molto con il plissè. Mi faccio aiutare specialmente per le grandi manifestazioni a Parigi e Milano da una signora di 80 anni che per tanti anni ha lavorato da Ferré. L’unico problema è l’approvvigionamento dei tessuti poiché spesso i fornitori richiedono quantità importanti anche se ultimamente le cose sono cambiate a mio favore.

Come sai, prima di ogni intervista mi documento sempre. Ho scoperto che il Giappone ha un ruolo importante nel tuo percorso professionale, me ne vuoi parlare? Cosa rappresenta per te il Giappone?

  • Claudio Guaraldi 2Il Giappone mi fa commuovere. Da due anni e mezzo collaboro con un’artista giapponese Yoko Hiratsuka. Iniziai a lavorare con il marito poiché cercava uno stilista europeo per rivisitare i kimono imperiali che voleva riproporre sul mercato a Kyoto. Dopo una prima conferenza stampa presentai i kimono rivisitati con la tecnica del “moulage”. Non è stato semplice perché occorreva rispettare e valorizzare le scene spettacolari disegnate a mano. Con il marito il progetto ebbe fine dopo poco, mentre la moglie mi volle nel suo team. Una donna incredibile che mi ha permesso di realizzare sfilate realizzando abiti con la tecnica del “moulage” su carta. Creavo i modelli e davo le indicazioni per l’assemblaggio. L’ultima sfilata che ho fatto con lei risale ad ottobre. A maggio sarebbe dovuta tornare qui in Europa ma il lock down non lo ha permesso. Tramite lei ho potuto conoscere tante persone dello spettacolo giapponese tra cui Miss Universo per il Giappone che ha partecipato alla finale con il mio abito.

Spesso si sente dire che la moda negli ultimi anni è cambiata, sei d’accordo? Com’è cambiata la figura dello stilista in questi ultimi anni?

  • Claudio GuaraldiPurtroppo in questi ultimi anni la moda è dominata dalla frenesia che va a dispetto della qualità. Come dice l’icona della moda Anna Wintour bisognerebbe produrre meno, ma mantenere la qualità, e il made in Italy è il migliore e per questo non deve perdere in qualità. Sin da studente ho capito che non dovevo entrare in questo sistema frenetico e per questo ho cercato di distinguermi con la sartoria perché rispecchiava di più il mio modo di essere.

Come ti definiresti realmente?

  • Schermata 2020-06-14 alle 21.31.58Mi sento un po’ stilista, un po’ scultore, un po’ creatore e un po’ modellatore. Faccio quello in cui credo. Mi sento libero e l’aspetto economico non sta alla base delle mie creazioni. Mi piace sentirmi gratificato e poter scegliere le persone con cui collaborare. Fortunatamente sono riuscito a creami un circuito che sta crescendo sempre di più.

C’è qualcosa che non hai ancora fatto e che ti manca nella tua carriera?

  • Sicuramente una parte che non sono riuscito ancora ben a gestire è la parte imprenditoriale. Mi è difficile scindermi dalla parte emozionale. La tecnologia dovrei svilupparla di più, dovrei applicarmi maggiormente nel presentare le mie creazioni sui social.

Progetti per il futuro?

  • Oltre al fatto che desidererei tornare in Giappone per imparare meglio le tecniche di cucitura e approfondire la cultura di questo fantastico “paese dello Zen”, ho un progetto famigliare. Mio fratello e mio nipote sono musicisti e sulle loro musiche vorrei presentare le mie creazioni in uno spettacolo.

Schermata 2020-06-14 alle 21.33.17Che consigli ti sentiresti di dare ad un cinquantenne?

  • Premetto che tanti mi hanno chiesto di disegnare abiti maschili, ma non mi sento portato. Il cinquantenne di oggi in genere ha tanta classe e per questo gli abiti maschili sono richiesti come testimonial di grandi Griffe. Il consiglio che mi sentirei di dare ad un cinquantenne è di giocare con gli accessori, le scarpe e ovviamente anche con la barba.

 

Ecco Luca Giannola classe 1972 che affascinato dall’eleganza e dalla raffinatezza che regnavano nell’ambiente famigliare ha nutrito fin da adolescente l’amore per la moda e ha saputo dare la giusta impronta al suo percorso professionale specializzandosi in una tecnica di alta sartoria, il “moulage”, e ha creato capi fantastici semplicemente scolpendo con l’aiuto di forbici, spilli e cuciture a mano gli abiti sul manichino.

Credits Foto: Claudio Guaraldi, Marino Mergola, Massimo Ruvio,Riccardo Scardovelli e Thierry Torres.

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